Focus, di Gino Finelli: IL TERZO MANDATO UN’OFFESA ALLA DEMOCRAZIA

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Gino Finelli – A volte leggendo le pagine dei giornali ed ascoltando le interviste dei nostri politici, a qualsiasi livello, mi viene spontaneo domandarmi: ma ci sono o ci fanno?

 Davvero dobbiamo continuare ad ascoltare e successivamente credere, nella buona fede, nel sacrificio e dedizioni alla causa comune, alla mano di Dio che ha voluto darci così tanta qualità e capacità? Dobbiamo accettare che gli affabulatori di turno con le loro ipocrisie ci impartiscono, come funzionali al nostro benessere, le loro. personali ed egoistiche ambizioni?

Succede ogni giorno, che attraverso i media, la televisione, i giornali, i nostri politici, difendono con arroganza e pretestuosità, con argomentazioni al limite del ridicolo, le loro posizioni e i loro privilegi. E noi che li ascoltiamo continuiamo a dargli il consenso, il mandato fiduciario, la delega per amministrare la nostra vita e progettare il nostro futuro. E tutti dimenticano, volutamente, il passato, quello che è stato e che ha rappresentato. E così accade che il nuovo leader di turno, con la sua maggioranza, critica quello precedente che apparteneva al suo schieramento politico, confutandogli tutto, comprese le cose fatte dalla amministrazione da lui appoggiata e che ora, guarda caso, non gli interessa più.

Il terzo mandato, è una offesa alla democrazia rappresentativa, è una gravissima concessione che viene di fatto resa possibile solo dalla incapacità di chi eletto, dovrebbe collegialmente garantire la corretta gestione del potere, ma si inchina difronte all’uomo forte di turno per evitare di essere schiacciato. Ma quale ideologia, quale interesse del paese, quale sacrificio per la collettività può giustificare una simile ipocrisia di linguaggio e comportamento? Continuare il lavoro intrapreso con difficoltà e costanza di impegno, come se non ci fosse nessuno in grado non solo di farlo, ma addirittura di riuscire a continuarlo, sempre che quel lavoro sia stato davvero utile e proficuo per la collettività che si amministra.

Con queste motivazioni si decide di poter superare la barriera giusta e quanto mai significativa per evitare che “il potere logori chi non ce l’ha” e ci si arroga il diritto-dovere di continuare ad amministrare la cosa pubblica sempre e solo per l’interesse ed il bene della collettività. Un potere con una iperbole espressiva creata ad arte per rafforzare il proprio pensiero ed aumentarne la credibilità.

I nostri politici dovrebbero comprendere che esiste un termine per il potere delegato, e che dieci anni sono ampiamente sufficiente per chiudere il percorso di gestione, poiché il sistema politico  italiano, basato sul consenso che frequentemente, se non sempre, si ottiene attraverso clientelismo, favoritismo e sottomissione passiva degli elettori verso chi si ritiene sia potente e del quale si ha timore, non può permettersi di tollerare ad libitum continuità di gestione della cosa pubblica proprio per le ragioni su esposte.

È un sistema che ha prodotto nel corso degli anni gravi e significative violazioni delle regole, della legalità, della morale politica, determinando un danno irreparabile alla democrazia, con conseguente allontanamento dalla politica e disistima dei nostri governanti. Ha contribuito a far crescere l’assenteismo elettorale e il senso di delusione, che è divenuto virale.

A qualsiasi livello, Camera, Senato, Regioni, Comuni, il terzo mandato è una sciagura alla quale bisogna che si ponga rimedio. Bisogna che la politica finisca con l’essere il mestiere che assicura lavoro, soldi e potere, che renda intoccabili uomini e donne che vogliono restare ancorati alle loro posizioni di privilegio, arrogandosi un diritto che non è e non può essere mai un loro dovere.

Il nostro è un paese in disuso. Lo è per la carenza di cultura, per la mancanza di supporto all’imprenditorialità, quella che aveva resa grande la Nazione negli anni 60-70-80, e che continua ad essere il reale sostegno economico. Per la incapacità di riuscire a costruire un sentimento nazionalistico a protezione delle nostre qualità e delle nostre capacità, quelle che abbiamo ceduto, vendute, dismesse. Lo è per la mancanza di un progetto politico che guardi oltre la quotidianità e quel consenso elettorale per mantenersi a galla.

E lo è perché abbiamo dimenticati i nostri valori fondanti, la famiglia, la patria, la solidarietà, il sacrificio che i nostri padri hanno fatto per costruire dalle rovine una grande Nazione. E nello scempio del qualunquismo più puro, quello per così dire dell’uomo qualunque, siamo caduti ancora una volta credendo di essere i portatori di una verità e di una capacità che avrebbe dato nuovamente lustro. 

Possiamo rialzarci solo se ci rendiamo consapevoli che la nostra democrazia è minata e non già da una falsa retorica di un rinnovato fascismo che non esiste più e che nessuno vuole, ma dalla nostra pigrizia, dall’assenza di partecipazione alla vita politica e sociale e dall’aver delegato in bianco ad altre persone, spesso discutibili, il nostro presente e il futuro dei nostri figli.

“La libertà non è star sopra un albero, non è neanche il volo di un moscone, la libertà non è uno spazio libero, è partecipazione”.

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