Editoriale: Il vento e la tempesta

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Sebastiano Cultrera – Tira un brutto vento nella politica procidana. Un vento che porta con sé un marcescente tanfo giustizialista. Ed è il peggior modo possibile per approssimarsi alla stagione elettorale, in vista delle prossime amministrative. E visto che alcune notizie stanno diffondendosi, e non sempre in maniera lineare, è il caso di fare il punto sulla situazione. Sui social, infatti, impazza la polemica politica attorno alla vicenda umana e politica dell’ex assessore Antonio Carannante, che ha rimediato un provvedimento giudiziario avverso, con pena sospesa, in una controversa vicenda dai contorni tutt’altro che chiari.

Diciamo subito che, a parer nostro, Carannante è vittima di un errore giudiziario e, siccome (a differenza dei sepolcri imbiancati dell’opposto giustizialismo) riteniamo che le sentenze SI POSSANO CRITICARE, chiariremo più avanti il pensiero sulla vicenda giudiziaria, ritenendo che il “rispetto della magistratura” si esplichi anche con una critica dei suoi errori (che naturalmente vengono evidenziati in maniera soggettiva) e che sia il caso di fare anche un’analisi politica sul costume della magistratura in casi come questo.

Ma la nostra principale premura è quella di segnalare una pericolosa china nei rapporti politici e, indirettamente, un salto di qualità (in peggio) della polemica politica isolana.

La contesa scatenata dalla Procida per Tutti è, infatti, maldestra e ingiustificata. E corre il rischio di consegnare la prossima campagna elettorale a un referendum sulla “questione morale”, piuttosto che sui temi concreti. L’unica ragione comprensibile per tale sciagurata “uscita” è quella del risentimento, rispetto a strali giustizialisti subiti ingiustamente nel passato: quando Luigi Muro fu semplicemente indagato (in una storia che portò a un nulla di fatto e al proscioglimento da tutte le accuse).

Vale appena il caso di ricordare Pietro Nenni: “la Politica NON SI FA con i sentimenti, figuriamoci con i RISENTIMENTI”.

La “toppa” del Sindaco, poi, ci sembra peggiore del buco, giacché si smarca totalmente dal suo ex assessore, presentandolo nudo da ogni difesa, perché “la Giustizia ha messo ufficialmente la parola fine alla vicenda… di uno SBAGLIO” dell’avvocato Carannante, che si trovava “casualmente” a fare l’assessore per la sua giunta (siamo prossimi alla formula “a sua insaputa” di Scajoliana memoria). La sua preoccupazione (politicamente comprensibile) è quella di salvare l’onorabilità dell’amministrazione. Lo “sbaglio” sarebbe privato e, quindi, del “reo che sbaglia” fatene l’uso che volete! Insomma, se la Giustizia ha scelto Barabba, che venga crocifisso il Cristo, purché Pilato rimanga con le mani pulite.

Riteniamo che l’atteggiamento del Sindaco sia obbligato da uno schema di propaganda consueto, che si coglie nel seguito della dichiarazione: “siamo una piccola comunità, e conosciamo bene le storie gli uni degli altri”, invocando, quasi, il giudizio popolare sulla reciproca (im)moralità. Ma se quello era stato il tema principale delle elezioni passate vinte, non può essere riproposto ancora. Dino, piuttosto, può e deve rivendicare a sé uno straordinario lavoro di accompagnamento e, talvolta, guida alla più grande fase di crescita interna dell’isola degli ultimi decenni, soprattutto in termini di notorietà, di recupero di orgoglio, di identità e di apertura all’esterno. E può rivendicarlo dal punto di vista del Sindaco più longevo del dopoguerra, dopo Cennamo (risultato già acquisito indipendentemente dal possibile terzo mandato). E quei meriti (con immancabili luci e ombre) sono di tutta la sua squadra, compreso Carannante che è stato un assessore attento, aperto ed intelligente (naturalmente criticabile, come tutti, in alcuni atti amministrativi). Chi vuole contrastarlo deve farlo sui fatti, sulle politiche e sui progetti per il futuro. In una dialettica del genere l’isola può crescere. Con la riedizione del film “Lui è peggio di me” si può solo ridere. Ma, nel nostro caso, diventa “Non ci resta che piangere”.

Perché, infine, riteniamo Antonio Carannante “vittima” della malagiustizia? Alcuni particolari processuali, come la peculiare acrimonia dell’appello della procura (puntuto e fortemente accusatorio) e la solita amnesia delle circostanze a discapito dell’accusato, fanno pensare. Abbiamo saputo, oramai, che la vicenda Concordia (in cui fu coinvolto Luigi Muro) faceva parte di un disegno più complessivo che voleva, in quel momento storico preciso, mettere in scacco Matteo Renzi e il suo governo. Sospettiamo che dietro l’inusitata e sghemba “severità” del procedimento contro Carannante scopriremo, prima o poi, qualche episodio di riassestamento degli equilibri nella magistratura, a partire da Napoli.

Poi, per chi, come noi, è GARANTISTA SEMPRE, c’è un aspetto fondamentale da sottolineare nella vicenda. Uno dei principi fondamentali, nato nel diritto romano, è quello del NE BIS IN IDEM: non è possibile, cioè, processare due volte una persona per lo stesso reato. In molti stati quel principio giuridico è vigente. In Italia è stato recepito solo nella formula del giudizio “definitivo”, lasciando alla procura la facoltà di appellarsi ad una prima assoluzione. Carannante è stato, infatti, ASSOLTO in primo grado: ed è un dato fondamentale. C’è tutta una corrente qualificata di giuristi che ritiene quella facoltà della procura un’enormità, che si presta ad atteggiamenti persecutori. In testa a questi giuristi c’è l’attuale ministro della giustizia Nordio, che sta (stava?) provando a modificare il codice limitando quella facoltà, rendendo INAPPELLABILE la sentenza di assoluzione. Questo, tra l’altro, è un tema storicamente caro al centrodestra, almeno fino agli ultimi rigurgiti giustizialisti (tendenza Mantovano).

Ma Procida per Tutti ignora tutto ciò e, per togliersi il sassolino dalla scarpa, naufraga sul macigno giustizialista. Mala tempora currunt: Guelfi e Ghibellini tornano alle armi, scegliendo quelle peggiori. Ma chi semina vento raccoglie tempesta.

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